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    Sghignazzi italiani… d’autore

    È una lettura di vari autori importanti, tra questi il veneto e mai abbastanza apprezzato Dino Buzzati col suo racconto “il corridoio del grande albergo”, seguito dai due racconti di Italo Calvino (due avventure di Marcovaldo) per proseguire con un racconto di Stefano Benni, un capitolo di Luigi Meneghello e un racconto di Vitaliano Trevisan, nonché alcune pagine di Paolo Nori…per finire con una divertentissima e ritmatissima lettura di Ur Malo da Pomo Pero di Meneghello. Il filo conduttore dei racconti è quello del surreale e del comico, meglio dello…sghignazzo…sghignazzo d’autore, appunto: sono tutti racconti dall’atmosfera grottesca e divertente. Nei quali si ride, spesso anche molto, ma dove la ricerca della risata dell’autore è sempre molto intelligente, spesso cinica e cattiva.

    Lettura di Pino Costalunga da pagine da Benni, Buzzati, Calvino, Meneghello, Trevisan, Nori

     

    C’era una volta un’isola

    Una lettura artistica, per celebrare venti anni dalla morte di Pino Sbalchiero, e a trenta dall’ultima pubblicazione del suo libro capolavoro “C’era Una Volta un’Isola – Storie della Pellagra ed altri racconti”. L’altro Pino, Pino Costalunga, che è stato compagno di “scorribande artistiche” dello scrittore “isolano” nei suoi ultimi anni ed interprete sempre presente ed attento dei suoi racconti, ha deciso di ripresentarsi al pubblico con una nuova lettura-rilettura dei meravigliosi racconti di Sbalchiero.

    Isola (che è Isola Vicentina ed è la scena dei racconti, assieme ai luoghi confinanti) diventa un luogo magico, un luogo della memoria. È metafora di un Veneto che forse non c’è più, scomparso come la Stella Boara del racconto, che dall’alba accompagnava il contadino nella sua dura giornata fatta di sudore, fatica, ma anche di gioia semplice e di fede in un futuro migliore.

    Quindi, il lavoro di Pino e dei suoi colleghi musicisti – da anni concentrato sullo studio delle tradizioni popolari e letterarie della nostra area veneta – vuole ricordare la stella di Pino Sbalchiero. Tramite il suo racconto, si manterrà viva la memoria di Sbalchiero, che non è stato ed è sicuramente uno dei più importanti ed interessanti autori veneti del ‘900 e non va dimenticato!

    Il viaggio in Italia da Guido Piovene ai giorni nostri

    Pino Costalunga riproporrà le pagine di “Viaggio in Italia” di Guido Piovene, in lettura a stralci. Ci si immergerà poi negli stessi luoghi e negli stessi paesaggi descritti e raccontati dal grande autore vicentino, ma proponendo pure pagine di autori contemporanei, che descrivono gli stessi luoghi ma oggi, 50/60 anni dopo.

    Ecco che allora la Vicenza di Piovene, la città e le periferie, si incontrano/scontrano con le “stesse pagine” di Vitaliano Trevisan, da, che di Piovene conserva la lucidità e spesso il sarcasmo, ma che scrive in un contesto diverso. Il Veneto di Piovene diventa la “Ballade de Jadis” di un altro importante autore veneto, Giulio Mozzi. Ci si ritrova nel viaggio in vespa tra Fusina e Porto Marghera di Roberto Ferrucci. Dalla Venezia di Piovene e quella di Tiziano Scarpa… e così via. Non Si tralasceranno squarci poetici, come i territori descritti in versi densissimi da Fabio Franzin, una delle voci più alte della poesia contemporanea veneta e italiana.

    La grande scrittura del territorio di Piovene, e pure degli altri autori presentati, è metafora chiara di un’Italia che non c’è più, ma pure di un mutamento generale europeo se non del mondo intero.

    La “natura” di Mario Rigoni Stern

    Pino Costalunga leggerà pagine soprattutto da quei testi di Stern che parlano di natura, e in modo particolare proporrà racconti da “Uomini, boschi e api”.

    Dice Mario Rigoni Stern di questo suo libro: “Vorrei che tutti potessero ascoltare il canto delle coturnici al sorgere del sole, vedere i caprioli sui pascoli in primavera, i larici arrossati dall’autunno sui cigli delle rocce, il guizzare dei pesci tra le acque chiare dei torrenti e le api raccogliere il nettare dai ciliegi in fiore. In questi racconti scrivo di luoghi paesani, di ambienti naturali ancora vivibili, di quei meravigliosi insetti sociali che sono le api, ma anche di lavori antichi che lentamente e inesorabilmente stanno scomparendo. Almeno qui, nel mondo occidentale. […] troverete anche storie di animali selvatici e di uomini che vivevano – e qualcuno ancora vive – in un ambiente sempre più difficile da conservare. I miei brevi racconti non parlano di primavere silenziose, di alberi rinsecchiti, di morte per cancro, ma di cose che ancora si possono godere purché si abbia desiderio di vita, volontà di camminare e pazienza di osservare.”

    Giorni di Guerra

    Dal Romanzo omonimo di Giovanni Comisso e dall’Epistolario curato da Luigi Urettini.

    Giorni di guerra” è il romanzo di Giovanni Comisso che da molti è paragonato a “Addio alle Armi” di Hemingway. Ha a questo simile la descrizione della rotta di Caporetto. In Comisso, tuttavia, non c’è il distacco dell’autore americano, ma una malinconia e un’adesione ai tipi umani e alle vicende anche piccole della guerra. L’autore trasforma il suo racconto in un grande ritratto, a volte divertente a volte commovente, di una povera umanità difronte a quella che è stata una delle più grandi catastrofi del secolo passato.

    Nonostante il tema, il romanzo è leggero e racconta prima la passione di molti giovani per l’idea di guerra e poi il disincanto, alternando pagine poetiche a pagine di una forte capacità narrativa fino a straordinari quadretti comici.

    Commisso, il Veneto e la Grande Guerra

    Giovanni Comisso (Treviso, 3 ottobre 1895 – Treviso, 21 gennaio 1969) è sicuramente uno dei più interessanti scrittori veneti e italiani di inizio ‘900. Egocentrico, appassionato, autore e giornalista curioso e dalla grande capacità descrittiva, vagabondo per mestiere e per piacere, ci ha lasciato una serie di articoli, romanzi, saggi che raccontano un’epoca da una prospettiva differente, spesso insolita.

    Pino Costalunga, presenterà un ritratto dello scrittore e dell’uomo Comisso, soprattutto nel periodo che lo vede, appunto, sul campo di battaglia durante la Prima Guerra Mondiale. “Sul campo di battaglia”, per modo di dire, perché l’autore trevigiano ha la fortuna di restare sempre nelle retrovie e quindi di vivere solo gli echi delle battaglie lontane.

    La Guerra come spettacolo, dunque, anche questo viene fuori dallo scambio epistolare – curato intelligentemente dal Prof. Luigi Urettini – dello scrittore con suo padre soprattutto sua madre. Quindi la guerra con tutte le sue miserie umane, la guerra come momento di sospensione di una vita spensierata, la guerra di chi non la combatte direttamente, ma ne è coinvolto e spesso vittima.

    Il ritratto che ne viene non è quindi tragico o drammatico, ma è spesso divertente, leggero, sempre elegiaco, grazie alla indubbia capacità descrittiva ed evocativa della penna del grande scrittore di Treviso.

    L’altro mondo di Dante e non solo

    Dante Alighieri non fu il solo a raccontare un viaggio nell’Aldilà, ma ci furono numerosi narratori dell’ultraterreno prima e anche dopo di lui. A partire dalla lettura di alcuni versi danteschi, ci divertiremo a tornare agli inizi della cultura occidentale. Partiremo, infatti, con alcune pagine dall’Odissea che raccontano della Visita all’Ade di Odisseo. Successivamente, continueremo con dei passi dalla Fabula di Orfeo di Poliziano (1480). Faremo un’incursione veloce nei versi di un contemporaneo di Dante, Giacomino da Verona, che descrisse, pure lui, la Città Celeste e la Città Infernale.

    Salteremo poi al ‘500 con una divertente visita all’aldilà, raccontata da Teofilo Folengo che nell’ultimo libro del suo capolavoro, il poema Baldus in versi maccheronici, descrive “l’inferno” dei poeti, dei filosofi, di quelli che insomma lavorano con la fantasia, come un luogo simile a una zucca vuota. Finiremo con un esilarante Inferno tutto veneto, quello dei bestemmiatori, tratto dal libro “C’era una volta un’Isola. Storie della pellagra e altri racconti”, da poco ripubblicato dalla Casa Editrice Ronzani, dello scrittore vicentino Pino Sbalchiero di cui nel 2019 ricorrono i 90 anni dalla nascita. A fare da trait-d’union dei racconti, naturalmente, brevi passi dalla Commedia Dantesca.

    La narrazione sarà condotta da Pino Costalunga.

    Storie di Laura Lattes

     

    Nel 2018 sono corsi i 40 anni dalla morte della scrittrice vicentina ebrea, autrice delle “Storie di Mirella”, un libro per bambini molto lodato da Vamba, l’autore di Gianburrasca. L’incontro farà emergere le qualità umane e di scrittrice per l’infanzia di Laura Lattes, in considerazione anche della sua esperienza personale di insegnante ebrea allontanata nel 1938, a seguito delle leggi razziali, dall’Istituto Fogazzaro dove insegnava.

    Una testimonianza per non dimenticare

    Laura Lattes nasce a Venezia, a Malamocco più precisamente, nel 1893 da genitori di origine ebrea: Abramo Samuele Angelo Lattes e Elisa Segre. Angelo ed Elisa erano però nati e sempre vissuti in Italia. Erano italiani prima di essere ebrei. “Anch’io mi sentivo italiana prima di essere ebrea” racconta la Lattes.

    Laura arriva a Vicenza nel 1900 e in questa città consegue il diploma magistrale. “Trovai tanti amici a Vicenza, amicizie che mi accompagnarono per tutta la vita. Fu la città dei miei giochi e dei miei studi. Vicenza fu la mia città”.  Quando nel 1914, dopo aver conseguito la laurea in Letteratura Italiana a Firenze, prese a lavorare come insegnante. Dovette spostarsi spesso, passando da una città a un’altra, finché nel 1934 tornò a Vicenza. Aveva vinto la cattedra all’Istituto “Don Giuseppe Fogazzaro”. Purtroppo in quegli anni, uno strano vento aveva cominciato a soffiare in Italia, un vento fatto di stupidità umana, di odio e di ferocia: il vento del fascismo che produrrà di lì a pochi anni le tremende leggi razziali contro gli ebrei.

    Nel 1938, infatti, Laura Lattes fu allontanata dall’insegnamento come tutti gli ebrei italiani a seguito delle leggi razziali e costretta a insegnare nella “scoletta ebraica” di Padova e Venezia ad allievi allontanati come lei dalle scuole di stato. “Erano prima di tutto italiani, come me, ma avevano la “colpa” di essere ebrei. Come me: la colpa di essere ebrea! Anche i libri di testo non potevano più portare la firma di autori di origine ebraica”.

    Pino Costalunga ripercorrerà sia le vicende umane che letterarie di Laura Lattes, in particolar modo quelle del suo periodo di insegnamento, raccontando quindi un’epoca difficile e tremenda come fu quella del periodo fascista in Italia e delle leggi razziali e a questo racconto, spesso triste e doloroso, alternerà invece pagine della Lattes dalle “Storie di Mirella” dove la dolcezza della scrittura per l’infanzia farà invece da contraltare per la realizzazione di uno spettacolo denso e nello stesso tempo piacevole.

    Veneto in versi

    Un percorso nella poesia Veneta, a cominciare da qualche accenno alla poesia antica, per dedicarci soprattutto alla produzione moderna e contemporanea.

    Lo spettacolo seguirà il filo di due temi in particolare: il paesaggio e l’amore. Attraverserà parecchi autori di area veneta (con qualche sconfinamento nella zona del Friuli e del Trentino) al di là della lingua che hanno usato.

    Ecco che allora andremo a sentire i versi in veneziano di Giacomo Noventa o di Mario Stefani; in trevigiano di Ernesto Calzavara o di Zanzotto; in veronese di Berto Barabarani; in vicentino di Fernando Bandini. Senza tralasciarte i poeti di area Veneta che hanno scritto in italiano come Diego Valeri o David Maria Turoldo.

    Versi che racconteranno il Veneto e l’amore, l’amore degli autori per la propria terra, ma anche l’amore per la vita e l’amore tout court per la persona amata. Non mancheranno alla fine versi che lasceranno da parte il tono più serio e “poetico” per strappare un sorriso o una sonora risata al pubblico, ma che pure vanno a inserirsi nella grande tradizione poetica non solo veneta, ma anche italiana e europea.

    Il Veneto Felice

    Da questa lettura scenica uscirà l’uomo e l’artista Comisso, con la sua capacità descrittiva di luoghi e personaggi che si sposa perfettamente con le sue doti elegiache.

    Comisso crea un racconto, che è anche un rifacimento di scritti e pagine precedenti stilati sotto forma di appunti e sul quale ritorna fino all’anno che precede la sua morte. Narra, quindi, il periodo passato in una sua dimora di campagna, esattamente una casa colonica situata a Zero Branco nel Trevigiano, tra il 1930 e il 1955, e acquistata con i proventi “dei circa cinquanta articoli scritti durante il mio viaggio nell’Estremo Oriente”.

    In questo “mondo-fuori dal mondo” Comisso vive il passaggio dalla mezzadria alla piccola proprietà, il mutare dell’Italia agricola in Italia industriale. Vive naturalmente la seconda guerra mondiale, che molto contribuirà a questo cambiamento, non solo di vita e di produzione, ma anche e soprattutto di mentalità. Vive i pensieri e le vite di molti contadini che descrive in maniera ineguagliabile, come una metafora del contesto in cui vive. La “Casa di campagna” diviene un microcosmo dove il mondo dell’autore a lui contemporaneo si riflette con risultati di altissima poesia.

    Giovanni Commisso

    Giovanni Comisso (Treviso, 3 ottobre 1895 – Treviso, 21 gennaio 1969) è sicuramente uno dei più interessanti scrittori veneti e italiani di inizio ‘900. “Probabilmente il più grande autore vivente” – come lo definisce Mario Monti – pur non avendo avuto la fortuna che altri autori suoi conterranei hanno avuto. I motivi possono essere molti, sta di fatto che fu ammirato da molti e modello per altri grandi scrittori. Egocentrico, appassionato, autore e giornalista curioso e dalla grande capacità descrittiva, vagabondo per mestiere e per piacere. Commisso ci ha lasciato una serie di articoli, romanzi, saggi che raccontano un’epoca da una prospettiva differente, spesso insolita. Vincitore di molti premi, è riuscito a raccontare l’Italia tra le due guerre solo come pochi narratori hanno saputo fare.

     

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